Archivi annuali: 2021


VIENI SEMPRE, SIGNORE!


Preghiera dell’Avvento e del NATALE

Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, Figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
E dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti,:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, tu che ci ami:
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con te, o Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.

(David Maria Turoldo)


Benedetta sei tu, MARIA, tra le donne!

IV domenica di Avvento

  • 19 Dicembre 2021

Anno C

Letture: Michea 5,1-4a; Salmo 79; Lettera agli Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45

benedetto il frutto del tuo grembo….

Maria si mise in viaggio in fretta. Appena partito l’angelo, anche lei vola via da Nazaret. Il suo cammino sembra ricalcare a ritroso le orme che Gabriele ha lasciato nell’aria per giungere da lei: «gli innamorati volano» (santa Camilla Battista da Camerino). Appena giunta in quella casa di profeti, Maria si comporta come Gabriele con lei. «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta»: angelo di un lieto annunzio, che il bimbo nel grembo della madre percepisce subito, con tutto se stesso, come una musica, un appello alla danza, una tristezza finita per sempre: «il bambino ha sussultato di gioia» . Il Santo non è più al tempio, è lì, nella carne di una donna, «dolce carne fatta cielo» (M. Marcolini). Nella danza dei grembi, nella carne di due donne, si intrecciano ora umanità e divinità. Nella Bibbia, quando gli uomini sono fragili, o corrotti, o mancano del tutto, entrano in gioco le donne (R. Virgili).

Da Maria ed Elisabetta impariamo anche noi l’arte dell’incontro: la corsa di Maria è accolta da una benedizione. Un vento di benedizione dovrebbe aprire ogni dialogo che voglia essere creativo. A chi condivide con me strada e casa, a chi mi porta un mistero, a chi mi porta un abbraccio, a chi mi ha dato tanto nella vita, io ripeterò la prima parola di Elisabetta: che tu sia benedetto, Dio mi benedice con la tua presenza, possa Egli benedire te con la mia presenza.

Benedetta tu fra le donne. Su tutte le donne si estende la benedizione, su tutte le figlie di Eva, su tutte le madri del mondo, su tutta l’umanità al femminile, su «tutti i frammenti di Maria seminati nel mondo e che hanno nome donna» (G. Vannucci). E beata sei tu che hai creduto. Risuona la prima delle tante beatitudini dell’evangelo, e avvolge come un mantello di gioia la fede di Maria: la fede è acquisizione di bellezza del vivere, di un umile, mite e possente piacere di esistere e di fiorire, sotto il sole di Dio.

Elisabetta ha iniziato a battere il ritmo, e Maria intona la melodia, diventa un fiume di canto, di salmo, di danza. Le parole di Elisabetta provocano una esplosione di lode e di stupore: magnificat. I primi due profeti del Nuovo Testamento sono due madri con una vita nuova, che balza su dal grembo, e afferma: «Ci sono!». E da loro imparo che la fede e il cristianesimo sono questo: una presenza nella mia esistenza. Un abbraccio nella mia solitudine. Qualcuno che viene e mi consegna cose che neppure osavo pensare. Natale è la convinzione santa che l’uomo ha Dio nel sangue; che dentro il battito umile e testardo del mio cuore palpita un altro cuore che – come nelle madri in attesa – batte appena sotto il mio. E lo sostiene. E non si spegne più.

Ermes Ronchi
Avvenire

DOMENICA 19 DICEMBRE ORE 10:

BENEDIZIONE DEL BAMBINO GESU’ PER IL PRESEPE IN FAMIGLIA !


Che cosa dobbiamo fare per trovare la GIOIA ?

III Domenica di AVVENTO

12 dicembre 2021

Credere non basta per vivere riconciliati: credere nell’esistenza di Dio, credere che Dio ci ama può addirittura diventare un’illusione, una sorta di panacea, se ciò non si traduce in qualcosa di pratico, di concreto.  

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.  


Non illudiamoci. Sì, non illudiamoci: non basta emozionarsi per essere felici. In fin dei conti, è ciò che i social media e i programmi televisivi vorrebbero farci pensare: tutto emoziona, tutto commuove. Ma non è così, e le Letture che vengono proposte in questa terza domenica di Avvento ci svelano quali sono, in realtà, le radici della vera gioia.   …

Prepariamo la via del Signore!

II domenica di Avvento

  • 5 Dicembre 2021

Anno C

Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Lettera ai Filippesi 1,4-6.8-11; Luca 3,1-6

Una pagina solenne, quasi maestosa, dà avvio a questo Vangelo. Da un luogo senza nome il racconto si lancia fino al cuore dell’impero romano, sconfina dal Giordano fino al trono di Tiberio Cesare. Il Vangelo attraversa le frontiere politiche, sociali, etniche, religiose, per introdurre Gesù, l’uomo senza frontiere, l’asse attorno al quale ruotano i secoli e i millenni, mendicanti e imperatori. Traccia la mappa del potere politico e religioso, e poi, improvvisamente, introduce il dirottamento: nell’anno 15° dell’impero di Tiberio Cesare, la parola di Dio venne… su chi? Sull’imperatore? Sul sommo sacerdote? Su un piccolo re? Su nessuno di questi, ma su di un giovane, un asceta senza tetto, che viveva mangiando il nulla che il deserto gli offriva: insetti e miele faticoso.

La Parola di Dio vola via dal tempio, lontano dalle stanze del potere, e raggiunge un povero nel deserto, amico del vento senza ostacoli, del silenzio vigile, dove ogni sussurro raggiunge il cuore. La parola discese a volo d’aquila sopra Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto. La nuova capitale del mondo è un luogo senza nome, nelle steppe di Giuda. Là dove l’uomo non può neppure vivere, lì scende la parola che fa vivere. E percorreva tutta la regione del Giordano. Portava un annuncio, anzi era portato da un annuncio: raddrizzate, appianate, colmate… C’è del lavoro da fare, un lavoro enorme: spianare e colmare, per diventare semplici e diritti e senza barriere. Quel giovane profeta un po’ selvatico dipinge un paesaggio aspro, che ha i tratti duri e violenti della nostra storia, irta di barriere e burroni, dove ogni violenza apre un baratro da colmare, tronca strade, non permette il cammino degli uni verso gli altri e, insieme, verso Dio. E le strade su cui Dio sceglie di venire sono sempre le nostre strade.

L’ultima riga del Vangelo è bellissima: ogni uomo vedrà la salvezza. Ogni uomo? Sì, letteralmente: ogni donna, ogni anziano, ogni straniero. Dio vuole tutti salvi, e in qualche modo misterioso raggiungerà tutti, e non si fermerà davanti a burroni o montagne, né davanti alla tortuosità del mio passato o ai cocci della mia vita. Ogni uomo vedrà la salvezza: «ogni uomo che fa esperienza dell’amore, viene in contatto con il Mistero di Cristo in un modo che noi non conosciamo» (Gaudium et spes 22). Ogni persona, di ogni razza e religione, di ogni epoca, sotto ogni cielo, che fa esperienza dell’amore, sfiora e tocca il Mistero di Dio. È da brividi la bellezza e la potenza di questa parola. Tu sei in contatto con il mistero, se ami. Ognuno di noi, se ama, confina con Dio ed entra nel pulsare stesso, profondo, potente e generativo, della vita di Dio.

Ermes Ronchi
Avvenire

La colletta della seconda domenica d’avvento dice: “Dio grande e misericordioso, fa che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con il Cristo, nostro Salvatore”. Anche in questa liturgia siamo invitati a camminare e vivere, ma con occhio vigile e cuore libero per non permettere al nostro “fare” quotidiano di rallentare il passo della nostra corsa verso Colui che viene. Vivere le corse di tutti i giorni non nella frenesia che ci fa correre, spesso senza una meta di Vita, ma operare nella sapienza di cercare la comunione prima di ogni cosa per non perdere il senso anche dei piccoli gesti quotidiani. Correre verso di Lui senza perdere l’orientamento e questo avviene solo se lasciamo maturare in noi quella sapienza del vivere che viene dallo Spirito, che si alimenta di famigliarità con la Parola, di partecipazione alla liturgia, di preghiera, per permetterci di non perdere l’orientamento. La sapienza dello Spirito affina il nostro discernimento per scorgere i segni della Presenza.

Il profeta Baruc ci annuncia che è il Signore stesso ad aprire una strada di speranza per il suo popolo aprendo una via nel deserto ai deportati, ridonando una veste di gioia, appianando la via colma di ostacoli “Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”. Questa Parola di consolazione può non essere facile da ascoltare non tanto per mancanza di fiducia nell’azione di Dio quanto per la presenza di contraddizioni e sofferenze così prolungate da non poter più immaginare qualche cosa di diverso dalla condizione in cui giacciamo da fin troppo tempo. Possiamo percorrere la via della speranza, partecipare alla pienezza della gioia solo lasciandoci plasmare dalla Parola che esce dalla bocca di Dio in un lavoro di demolizione del troppo alto e di riempimento del troppo basso. Vedere la salvezza vuol dire vedere l’azione di Dio nella storia, cogliere che Lui è con noi e dentro tutto ciò che viviamo. A volte è sufficiente cambiare la prospettiva di osservazione del reale per trovare un filo di speranza possibile.

Questo è anche l’annuncio di Giovanni: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Attendere la venuta del Signore significa essere disposti a mettere in discussione ogni cosa. I sentieri da raddrizzare non sono solo quelli del male e del peccato, ma anche quelli delle nostre pretese e aspettative che ci impediscono di rimanere aperti, con un sguardo libero per cogliere l’opera di Dio. Proprio nel deserto siamo chiamati ancora ad un ascolto di una promessa, a lasciar uscire il desiderio di vita che grida in noi lì dove niente è più in ordine e tutto ci manca, ma dove Lui viene ad incontrarci. Preparare la via al Signore significa rimuovere gli ostacoli che ritardano o impediscono il suo accesso al nostro cuore. Dio non può entrare dove ci sono i monti dell’orgoglio, dell’arroganza o gli avvallamenti dell’indifferenza e della freddezza, del non senso. Solo in questo lavorio dentro e fuori di noi, ci raggiungerà una libertà nuova che da Dio ci viene donata e che ci permetterà di percorrere la via del Signore che ha fatto grandi cose per noi.

Monastero di Sant’Agata Feltria


Ma Chi è il FESTEGGIATO?

Vi giro una riflessione di un mio amico e collega: ci aiuta a capire il Natale:

Fra poco sarà Natale. Anzi per i mercatini, i commercianti, gli amministratori, i gestori di discoteche è già arrivato. Tutto bello, poetico, necessario: S. Claus, Babbo Natale, gli Elfi, l’albero illuminato, il panettone, le vacanze. Ma sorge un interrogativo dentro di me. Gesù Cristo che cosa c’entra con tutto questo? Chiedo ai bambini di chi è il Natale? Chi festeggiamo? Alcuni di loro, non solo quelli di altre religioni, non sanno rispondere. Uno più sveglio grida: «Ma Don, è evidente è la festa di Gesù». Ma Gesù, chi era costui? Forse, per tanti, è diventato come Carneade di manzoniana memoria. Proviamo in queste poche righe a fare un ritratto di Cristo, Figlio di Dio, consapevoli che tanti artisti, scrittori, registi, musicisti l’hanno fatto meglio di me. Lo faccio con i Vangeli. Perché Natale senza Gesù è come una festa senza il festeggiato. Gesù era un ebreo della Palestina di 2000 anni fa. Alto, robusto, bello se una donna sfidando la folla gridò: «Beato il seno che ti ha portato!». Gesù è un uomo libero che ha un grande progetto: parlare di un Dio amore che ama tutti, che perdona, che ci prepara un Regno di giustizia, di pace, di gioia infinita. Non viene capito. Viene osteggiato dai capi, dai sacerdoti, dai farisei di ieri e di oggi. Anzi l’accusano di bestemmiare facendosi Dio, di essere indemoniato, di essere un mangione ed un ubriacone. Ma Lui non demorde, predica il Vangelo, percorrendo in lungo e in largo quasi tutti i paesi d’Israele con i mezzi di allora. Guarisce, libera dal male, comanda alla natura che gli obbedisce. Incontra tutti, va in casa dei peccatori: Zaccheo, Simone, Maddalena che, affascinati dalla sua proposta, si convertono e lo seguono. Ma Gesù è anche molto duro con chi si serve della religione per i propri interessi, con i farisei che hanno solo una facciata esteriore di religiosità. Una volta, nel luogo più sacro per gli Ebrei, il tempio di Gerusalemme, scaccia i venditori, rovescia i tavoli dei cambiavalute e grida: «Non dovete fare del luogo di preghiera un mercato!». Ci svela il segreto della beatitudine, della felicità: essere umili, pacifici, poveri, misericordiosi, puri e perfino perseguitati a causa sua. Incontra e accoglie quelle persone che la società aveva emarginato, gli scarti, direbbe Papa Francesco: le donne, quante donne nel Vangelo! Sarà proprio a loro affidato l’annuncio della Resurrezione. I bambini, i mocciosi, coloro che contavano poco e spesso disturbavano: «Lasciate che i Bambini vengano a me e se voi non vi farete piccoli come loro non entrerete nel Regno dei cieli». I poveri, i malati, i lebbrosi, sono i suoi prediletti. Soffre molto Gesù per le accuse ingiuste, per le incomprensioni anche dei suoi amici, per le torture, per la infamante morte sulla Croce. Muore giovane, circa 30 anni, ma il terzo giorno il suo sepolcro è vuoto. E’ il più grande big bang della storia. E’ Risorto. Un uomo così non può affascinare anche oggi? Perché non seguirlo come fanno circa 2 miliardi di persone? Questo è il mio augurio ai tanti amici. Buon Natale… così con il vero festeggiato! (Don Piergiorgio Sanchioni)


AVVENTO:Vegliate,pregando

Domenica 28 novembre 2021


Dal Vangelo di Luca 21,25-28.34-36
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

…allora vedranno il Figlio dell’uomo venire con grande potenza…

Il Vangelo di Luca riguarda tutti: credenti e non credenti.

Per i credenti e gli appassionati del Regno di Dio l’esortazione a tenersi “pronti” comporta un cambio radicale di prospettiva (anteporre sempre la causa del Regno di Dio alla causa del proprio “orticello” mettendo al bando bizzarrie spirituali, gozzoviglie mistiche e vanità raffinate, presunzioni e asprezze)…

Per i non credenti, l’esortazione a tenersi pronti, dovrebbe orientare ad una vita incline alla sostanza delle cose e non alla apparenza… onde non si becchino questo soave biasimo del Dalai Lama:

“Dell’umanità, mi sorprendono di più gli uomini,

perché perdono la salute per fare soldi

e poi perdono i soldi per recuperare la salute…

Perché pensano tanto ansiosamente al futuro

che dimenticano di vivere il presente,

in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro…

Perché vivono come se non dovessero morire

e perché muoiono come se non avessero mai vissuto”. G. Avanti


il Re che rende testimonianza alla VERITA’

  • 21 Novembre 2021: Collegiata S.Stefano ore 11.30 Memoria della Virgo Fidelis e ringraziamento dei poveri per i doni della terra che ci alimenta e ci sostiene (centro caritas delle 4 parrocchie).
  • 21 Novembre 2021:ore 16.30 Incontro per famiglie nella sala parrocchiale Sant’Antonio (Fornaci)in collegamento con la Pastorale familiare diocesana
  • Lettera dei Vescovi italiani per il Sinodo (sotto)
  • Annuncio della Visita pastorale dell’Arcivescovo Angelo alle nostre comunità parrocchiali (più sotto)

Anno B

Solennità di Cristo Re

Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33b-37

33 Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» 34 Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?» 35 Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?» 36 Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». 37 Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».

Pilato, l’uomo che detiene il maggior potere in Gerusalemme, e il giovane rabbi disarmato: l’uno di fronte all’altro, di fronte alla storia del mondo. Tu sei il re dei giudei? Possibile che quel galileo dallo sguardo limpido e diritto sia a capo di una rivolta, che ne nasca un pericolo per Roma? No, quell’uomo inerme è un pericolo per i complotti del sinedrio, per i giochi dei politici: ti hanno consegnato a me, vogliono ucciderti. Cosa hai fatto? Gesù mi commuove con il suo coraggio, con la sua statura interiore, mentre fa alzare sul pretorio un vento regale di libertà e fierezza. E adesso apre il mondo di Pilato, lo dilata, fa irrompere un’altra dimensione, un’altra latitudine del cuore: il mio regno non è di questo mondo, dove si combatte, si fa violenza, si abusa, si inganna, ci si divora.

Nel mio regno non ci sono legioni, né spade, né predatori. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno la cosa più importante è servire. Il mio regno appartiene ai poveri, ai limpidi, ai liberi, agli artigiani della pace e della giustizia… Sono venuto per far sorgere i re di domani tra i piccoli di oggi. «Sono venuto nel mondo, per testimoniare un’altra verità». La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. È lì davanti, la verità; è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, sono diventate vere. Oggi non celebriamo la salita al trono del padrone del mondo, Gesù non è questo: lui è l’autore e il servitore della vita. Che ci cambia la logica della storia attraverso la rivoluzione della tenerezza, parola ultima sul senso della nostra esistenza e, insieme, sul cuore di Dio. Allora, chi è il mio re? Chi il mio Signore? Chi da ordini al mio futuro?

Io scelgo lui, ancora lui, il nazareno, con la certezza che il nostro contorto cuore, questa storia aggrovigliata, stanno percorrendo, nonostante tutte le smentite, un cammino di salvezza. Perché Dio è coinvolto, è qui, ha le mani impigliate per sempre nel folto di ogni vita. Pilato prende l’affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l’iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Voleva deriderlo, e invece è stato profeta: il re è visibile là, sulla croce, con le braccia aperte, dove dona tutto di sé e non prende niente di nostro. Potere vero, quello che cambia il mondo, è la capacità di amare così, di disarmato amore, fino all’ultimo, fino all’estremo, fino alla fine. Venga il tuo Regno, Signore, e sia bello come tutti i sogni, sia intenso come tutte le lacrime di chi visse e morì nella notte per forzarne l’aurora.

Ermes Ronchi
Avvenire

Questa domenica chiude l’anno liturgico, per dare spazio ad un nuovo tempo di preghiera, tempo efficace di preparazione alla venuta del Signore. Oggi si celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo, la sua signoria sul mondo. Per fare memoria della regalità di Gesù, il vangelo odierno ci propone una pagina del lungo processo davanti a Pilato, secondo la narrazione di Giovanni. Una sequenza di brevi scene compone il racconto del processo (Gv 18, 28 – 19, 16), scandito dall’entrare e uscire di Pilato, che si rivolge a Gesù e alle autorità giudaiche. La scena dell’incoronazione con una treccia di spine (Gv 19, 2) ne costituisce la parte centrale, rivelando in modo paradossale l’identità di Gesù, quale re egli sia. La regalità di Cristo si manifesta nell’umiltà, nel dono di sé, nella croce. Uno di fronte all’altro sono posti Gesù e Pilato, all’esterno stanno le autorità giudaiche; Pilato va e viene, realmente diviso, in balìa degli avvenimenti. Questa indicazione spaziale è significativa: fuori è il “mondo” incredulo, all’interno ha luogo la rivelazione. È appunto il grande tema dell’identità di Gesù che siamo chiamati a meditare oggi, la sua regalità e autorità.

All’inizio e alla fine, delineando come una cornice all’interno della quale avviene il processo, l’evangelista precisa che era la vigilia di Pasqua (Gv 18,28 e 19,14), ponendo in questo modo un’evidente relazione tra il sacrificio dell’agnello pasquale e la condanna di Gesù. Egli è l’agnello di Dio che toglie e porta su di sé il peccato del mondo (Gv 1, 29). L’evento di liberazione che fonda la fede è ora la croce di Cristo, il dono del Figlio che ci rende figli. Entro questa prospettiva si comprende che la sua regalità non è politica, ma escatologica. Dio ha l’autorità ultima sul mondo, questa verità rivela Cristo. Ma la realtà di Dio in mezzo agli uomini, “il regno di Dio”, si realizza qui e ora, non in un vago e indefinito futuro. In Cristo, il presente non è più un fenomeno effimero, ma contiene in sé anche una dimensione trascendente capace di provocare il futuro, il futuro assoluto, l’eterno (G. Ravasi, su Sette del Corriere della Sera, 2/11/21).

Gesù andando incontro alla morte amando fino alla fine (Gv 13, 1) è pienamente uomo (Gv 19, 5) e porta a termine la rivelazione. Ecco il Regno di Dio. La corona di spine, il mantello porpora e la croce non ne smentiscono il senso, piuttosto ne sono una conferma. Nella teologia giovannea, l’abbandono del “mondo” è segno della presenza di Dio, di cui Gesù è la Parola definitiva (Gv 18, 37 e Gv 1, 18). L’amore di Dio opera secondo la logica pasquale del perdersi per ritrovarsi nell’altro, del morire per ricevere la vita. L’autorità di Gesù emerge dal suo essere padrone degli eventi, li conduce, li affronta, pur inerme e prigioniero nei fatti domina i suoi avversari. All’opposto Pilato è incerto, timoroso, incapace di prendere posizione: il rappresentante del potere è sopraffatto dagli eventi. Gesù apparentemente debole e sconfitto testimonia l’amore del Padre (Gv 3, 16-17) fino alla morte. È questo l’uomo agli occhi del Signore, è questa la via tracciata per noi.

Monica
Comunità Kairòs

cammino sinodale:

lettera dei Vescovi italiani

VISITA PASTORALE DEL VESCOVO ANGELO ALLE COMUNITA’ PARROCCHIALI

Le 73 Parrocchie della nostra Arcidiocesi Ancona-Osimo saranno visitate dall’ Arcivescovo Angelo nel corso dei prossimi anni.

Una settimana in Parrocchia per conoscere, ascoltare, insegnare, guidare, celebrare nella realtà del nostro territorio.


PREPARIAMO IL RITORNO DEL SIGNORE, imparando a riconoscerlo nei POVERI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
14 novembre 2021

«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7)


1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e diede adito a due diverse interpretazioni.

La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).

La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole, emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).

2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.

Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3).

I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti, quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.

Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”, come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta condivisione.

4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario, richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno (cfr Mt 6,19-20).

L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo. Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.

5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.

Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e, purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente.

6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e nessuno può loro togliere.

7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede aiuto.

8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano.Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra coscienza facendo qualche elemosina, ma  piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.

In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.

Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poverichi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano»(“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2021,
Memoria di Sant’Antonio di Padova

FRANCESCO

XXXIII domenica

  • 14 Novembre 2021

Tempo ordinario, Anno B

Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Lettera agli Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

In quei giorni, il sole si oscurerà, la luna si spegnerà, le stelle cadranno dal cielo… L’universo è fragile nella sua grande bellezza, ma quei giorni sono questi giorni, questo mondo si oscura con le sue trentacinque guerre in corso, la terra si spegne avvelenata, sterminate carovane umane migrano attraverso mari e deserti… Ti sembra un mondo che affonda, che va alla deriva? Guarda meglio, guarda più a fondo: è un mondo che va alla rinascita. Gesù ama la speranza, non la paura: dalla pianta di fico imparate: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Gesù ci porta alla scuola delle piante, perché le leggi dello spirito e le leggi profonde della realtà coincidono. Ogni germoglio assicura che la vita vince sulla morte.

Imparate dalla sapienza degli alberi: quando il ramo si fa tenero… l’intenerirsi del ramo neppure lo immagini in inverno; il suo ammorbidirsi per la linfa che riprende a gonfiare i piccoli canali è una sorpresa, e uno stupore antico. Le cose più belle non vanno cercate, vanno attese. Come la primavera. E spuntano le foglie, e tu non puoi farci nulla; forse però sì: contemplare e custodire. Allora voi capite che l’estate è vicina. In realtà le gemme indicano la primavera, che però in Palestina è brevissima, pochi giorni ed è subito estate. Così anche voi sappiate che egli è vicino, alle porte. Dio è vicino, è qui; bello, vitale e nuovo come la primavera del cosmo. Da una gemma imparate il futuro di Dio: che sta alla porta, e bussa; viene non come un dito puntato, ma come un abbraccio, un germogliare umile di vita. «Il mondo tutto è una realtà germinante» (R. Guardini).

Allora mi sento come una nave, che non è più in ansia per la rotta da seguire, perché sopra di essa soffia un Vento di cielo, e la lampada della Parola è accesa sulla prua della nave. Passano il sole e la luna, che sono l’orologio dell’universo, si sbriciola la terra, ma le mie parole no, sono un sole che non tramonterà mai dagli orizzonti della storia, dal cuore dell’uomo. Siamo una generazione lamentosa, che non sa più ringraziare, che ha dissipato i profeti e i poeti, gli innamorati e i buoni. E invece essi sono la parabola, il germoglio, ramo di fico o di mandorlo del mondo salvato. Lo sono qui e ora, sulla terra intera e dentro la mia stessa casa, come germogli buoni, imbevuti di cielo, intrisi di Dio. Chi mi vuole bene è lampada ai miei passi. Guardali bene, una goccia di luce è impigliata in ogni ruga, un grammo di primavera e di futuro ha messo radici in ogni volto. La fede mi ripete che Dio è alle porte, è vicino, è qui, è in loro. «Ognuno un proprio momento di Dio» (D. M. Turoldo).

Ermes Ronchi
Avvenire


Dona di più, chi ama di più!

Domenica 7 novembre 2021


Dal Vangelo di oggi, Marco 12,38-44 
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

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…ci prepariamo così a celebrare la 5^ giornata mondiale dei poveri
domenica 14 novembre…

Gesù non bada agli statuti “ecclesiastici” e sociali d’impatto sul popolo. Credo possa essere un grande insegnamento comprendere bene che la nostra vita non si costruisce sull’avere ma di più sull’essere. “Chi è” veramente è colui “che in fondo ha” veramente. Gesù vede oltre le righe economiche dei conti correnti di quel tempo e fiuta l’affidamento totale in un gesto piccolo quasi invisibile, sovrastato dal rumore assordante dei soldi che sembrano spegnere quell’impercettibile tintinnio di carità povera ma Altra. Sì Altra con la ‘a’ maiuscola perché intercetta il cuore di Dio. Dio è cieco quando qualcuno dei suoi figli vuole farsi vedere, e vede molto bene invece quando qualcuno si nasconde per timore. Dio vede e riconosce. Tutto sta nella visione di Dio! Quando saremo davanti a Lui, ci vedrà per “l’impercettibile” che abbiamo coltivato, per ‘umiltà dei gesti”. Il “povero quattrino” di fondo della nostra anima parlerà da solo! Quella vedova è una preziosa figura emblematica del credente che si getta tra le braccia della Provvidenza. E’ segno di una chiesa povera che oggi come non mai ci interpella a fare chiarezza sul “come” ci presentiamo al “banco della vita”. Siamo capaci di donazione totale, di noi stessi? Di incarnare l’autentico amore senza ovattarlo da desideri e forme di egoismo o piccoli angoli personali di fama e notorietà che generano continuamente separazione tra gli uomini? A chi ha la sua forte “fama” talvolta venga donata la “fame”. La prospettiva subito sarà ridotta ed in sintonia con la povertà ma soprattutto ricondotta al bisogno di “essere aiutati” e “notati veramente”. Qui si gioca lo spirito cristiano di chi apre cuore, occhi, pensieri e mani ai suoi fratelli e sorelle senza misure, senza confini o riserve. Anche a coloro che prima erano ricchi e strapotenti. San Paolo, a riguardo, riporta un detto ‘famoso’ di Gesù (Atti 20,35) che ci fa capire, in linea col Vangelo, che c’è più gioia nel dare, che nel ricevere! Chi ama veramente dona con gioia! Chi ama se stesso invece dona con tristezza, con calcolo e alla fine è come non avesse donato.